Recensione "Vapore Nero" by Gianluca Malato



È sempre facile criticare un libro che non riteniamo particolarmente valido (cado spesso in questo errore). Un po' meno semplice è ricordarsi ed ammettere che dietro quelle pagine vi è una persona. È con questo pensiero in mente che voglio iniziare la recensione di oggi.
Vapore Nero è uno steampunk edito dalla Dunwich Edizioni. Il genere d'appartenenza, che dal nome sembra quasi eccessivamente complesso, indica il filone della narrativa fantasy e fantascientifica in cui la tecnologia anacronistica viene inserita in un'ambientazione storica "sbagliata" (spesso l'epoca vittoriana). Per fare un esempio concreto, allo streampunk appartiene la Trilogia Vittoriana di Félix J. Palma. La trama, tratta dal sito ufficiale dell'editore, è la seguente.

La Londra vittoriana è governata dalla tecnologia del vapore, principale fonte d'energia e fulcro dell'economia dell'Impero.
Alex è un giovane fisico convinto che il vapore possa essere sostituito da una sorgente d'energia più
economica e pulita: l'energia magnetica.
Fa quindi di tutto per costruire il primo motore magnetico, che permetterebbe a chiunque di avere energia pulita per sempre.
Presto, però, dovrà scontrarsi con intressi economici e politici che vorrebbero mantenere inalterata l'egemonia del vapore.
L'estenuante caccia dei servizi segreti, l'amore verso una giovane ragazza irlandese con un passato denso di violenza e dolore, e l'intervento della stessa regina Vittoria si frappongono fra Alex ed il suo progetto.

Il libro mostra fin da subito delle buone premesse. Se dovessi impostare la recensione per punti chiave, questo lo inserirei subito: Buone Premesse. Eppure, questo promettente inizio ha finito per deludermi già dalle prime poche pagine. Andiamo con ordine.
Se devo mettermi ad elencare i punti deboli del romanzo, voglio incominciare premettendo che durante la lettura non riuscivo ad impedirmi il costante confronto con la trilogia di Félix J. Palma, che reputo uno dei migliori scrittori di steampunk. Errore mio, non si dovrebbero mai fare paragoni con i grandi. Per questo ho subito notato, con un forte, e forse eccessivo, fastidio gli errori nel creare contesto ed ambientazioni. Apprezzo, però, gli sforzi che Gianluca Malato fa al riguardo. Sarei un'ingrata se non ammettessi che l'autore pone attenzione nel cercare di rappresentarne gli aspetti (che si riflettono anche nei personaggi). Eppure, spesso, questo non basta. I tentativi ci sono, e si apprezzano, ma restano gli errori, che si notano e che si tenta poi di spiegare e "sbrogliare" in un modo che definirei leggermente banale. E anche questo, purtroppo, si riflette nei personaggi. Una cosa che ho odiato di questi ultimi è l'eccessiva arroganza, che sfocia spesso nel pietismo e vittimismo. È come se il rispetto, le cose belle, fosse loro tutto dovuto; e questo senso di "giustizia", che porta a dire che tutto ciò che è doloroso nella vita sia sbagliato, spesso si scontra con la logicità della situazione e del contesto. Nessuno, ad esempio, si offenderebbe se la propria regina gli ordinasse qualcosa, non in un contesto monarchico come quello della Londra vittoriana. Potrebbe sentirsene in soggezione, magari intimamente non approvare l'azione impostagli, ma non si offenderebbe per il gesto della sovrana. Non ci troverebbe niente di male, perché questo è il suo contesto, la sua normalità, e non avrebbe sperimentato niente di diverso dall'ordine della monarchia. Invece, spinti da questo stesso senso di giustizia, i personaggi cadono in un pietismo che quasi sfiora il patetico. Chiariamoci, non sono una sadica e non mi diverte vedere i personaggi soffrire (ok, qualche volta sì, ma solo quando se lo meritano); ma credo che banalizzare il dolore e santificare in automatico la vittima equivalga a sprecare una delle più grandi possibilità che ha uno scrittore di dimostrare il suo valore, e scrivere qualcosa di meravigliosamente valido: rappresentare la complessità umana. È un peccato, perciò, che Malato non abbia sfruttato questa opportunità.
Altro lato debole dei personaggio sono, a mio avviso, le emozioni, che cambiano troppo repentinamente. In generale mi è apparso che qualche volta il tempo del racconto fosse un po' troppo accelerato, fattore dovuto probabilmente alla scelta di condensare la storia in un romanzo breve, ma che rischia di disorientare il lettore.
Un altro punto a sfavore è sicuramente la logicità. Il libro ha una sua logica interna che viene rispettata, ma alcuni episodi sembrano accadere più perché devono esserci, piuttosto che perché i personaggi e/o la situazione avrebbero seguito quelle dinamiche.
Eppure, una lancia va spezzata a favore delle spiegazioni tecnico-scientifiche, realizzate a meraviglia dall'autore, anche grazie alla sua laurea in fisica teorica. Molto apprezzata è anche la costruzione del finale, che lascia, in modo discreto, la porta aperta ad un possibile seguito.
In generale ho trovato la scrittura di Gianluca Malato poco originale. Non lo dico in tono di condanna. Lo stile di base è buono, e se allenato e migliorato può raggiungere alti livelli; eppure mi sembra che lo scrittore non abbia ancora trovato, nella sua penna, quel qualcosa che è solo suo, che lo rende unico. Ho iniziato questa recensione ricordandomi che c'è sempre una persona, in carne ed ossa, dietro al proprio libro. Per questo mi sembra giusto lodare l'impegno e la grinta di questo uomo che fin da giovanissimo si è messo in gioco per quella che è una propria passione: la scrittura. Per questo voglio dirgli di non mollare. Ha ancora della strada davanti ed aspetti da migliorare, ma ha la stoffa per diventare un bravo scrittore, e sarà interessante seguire la sua crescita come autore.
Buona lettura!

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